Sono passati appena due mesi, eppure sembra una vita. Due mesi da quel giorno a Potenza, contro il Sorrento, che ha regalato all’Avellino la Serie B, riportandolo laddove storia e passione da tempo reclamavano il ritorno. La sbornia della promozione è già svanita, l’euforia si è fatta disciplina: archiviate le celebrazioni, adesso si guarda avanti, concentrati, con lo sguardo fisso su ciò che sarà il prossimo campionato cadetto.
Il campionato di Serie B è trappola e riscatto, giungla e occasione. Lo sanno tutti: basta un passo falso per finire nel pantano, un abbaglio d’orgoglio per pagare dazio. L’errore da evitare è quello di specchiarsi nelle gesta di certe neopromosse del passato, lasciandosi illudere da paragoni fuorvianti. Ogni squadra ha la sua storia, ogni stagione è un campo minato diverso. La vera disfatta, oggi, sarebbe presentarsi al via privi dell’umiltà necessaria, gonfi di aspettative infondate e di sogni non ancora guadagnati.
Ambizione sì, sempre. Ma guai a scambiarla per arroganza. I progetti veri richiedono tempo, pazienza, e soprattutto una visione. È lì, nel dettaglio e nella perseveranza, che si costruisce qualcosa di solido. E quella parola, “umiltà”, non è uno slogan ma un principio scolpito nel marmo dello studio di Angelo Antonio D’Agostino. Un presidente che ha sempre parlato poco e fatto molto, senza cedere alla smania dei social o alle dichiarazioni a effetto. Sobrietà, misura, concretezza: ogni parola pesata, ogni gesto calibrato.
È da lì che si riparte. E i primi segnali di mercato lo confermano: profili giovani, affamati, pronti a scommettere sul progetto irpino e a crescere nel solco tracciato dalla società. Aiello e Giovanni D’Agostino lo sanno bene: per affrontare la B non bastano i nomi, serve un’identità. Serve un gruppo che sappia reggere il ritmo feroce di un torneo che, nel giro di sette giorni, può portarti dalle stelle alle stalle.