«È arrivato il momento di mettere da parte divisioni e contrapposizioni strumentali e non più sopportabili, e provare a coltivare tutti insieme i fiori della tolleranza, del rispetto, della sana convivenza e dell’inclusione sociale. Da oggi inizia un nuovo percorso. Un percorso che dovrà transitare necessariamente attraverso una pacificazione politica e sociale». Ci sono tornate in mente le parole pronunziate dalla sindaca di Avellino, Laura Nargi, durante la conferenza d’insediamento. Parole importanti e condivisibili, per invocare una “rivoluzione gentile” funzionale alla pacificazione della comunità dopo anni di divisioni, contrapposizioni tribali, livori.
Una rivoluzione gentile, quasi ad evocare quella dei garofani in Portogallo, quando gli studenti infilavano fiori nelle canne dei carri armati per soverchiare il regime di Salazar. Parole belle, che tuttavia possono trovare senso, al di là della contingente suggestione, solo se seguite da fatti.
Ed eccoci al punto.
Tutti sappiamo, e lo sa anche la sindaca Nargi, che nel corso di questi anni il basket è stato uno dei contesti nel quale maggiore è stata la contrapposizione in città: per un verso la Del.Fes, fondata dall’ex sindaco Festa, dall’altro la Scandone, da sempre sinonimo di cultura cestistica della città e della provincia.
È accaduto nella sera di giovedì scorso che al Paladelmauro è stato presentato il roster e la nuova divisa dell’Avellino Basket, nuova denominazione di quella che fu la Del.Fes. Evento importante, alla luce della storica promozione in A2 ottenuta lo scorso anno, alla quale la sindaca ha giustamente partecipato con ttasporto ed emozione. Il punto è che una settimana prima, al Carcere Borbonico, c’è stata la presentazione della Scandone, che milita in serie B interregionale ma che ambisce alla vittoria del campionato e raccoglie un seguito tutt’altro che residuale. Lì la sindaca non s’è fatta vedere, nonostante ci risulti che sia stata formalmente invitata.
Sarà stata impegnata, sarà stata distrazione. È stato certamente un errore, perché lo sport da queste parti è elemento identitario, perché questa divisione appare a tutti illogica ed insostenibile, perché la rivoluzione gentile si fa esercitando il rispetto, l’equidistanza, l’inclusione. Le istituzioni sono di tutti, dunque non possono essere di parte.