La spaccatura tra il Pd e De Luca appare insanabile. Si aprono praterie per un centrodestra che non ha più tempo da perdere. Il governatore punta sui suoi amministratori e sul voto disgiunto, mentre tra i dem, almeno sulla carte, nessuno è pronto a seguirlo. Le altre forze di centrosinistra attendono indicazioni
Manca ancora un anno alle elezioni regionali e un anno, in politica, è un’eternità. Tanto premesso, ci pare di poter dire che molto difficilmente si determineranno le condizioni per la pace tra Palazzo Santa Lucia e il Nazareno, ovvero per una sintesi che scongiuri una sanguinosa spaccatura tra il governatore De Luca e il Pd. Tutto è saltato nello stesso momento in cui le agenzie, giovedì scorso, hanno battuto la notizia dell’arresto per corruzione di Franco Alfieri, sindaco di Capaccio Paestum e Presidente della Provincia di Salerno, e a distanza di un paio d’ore quella delle perquisizioni a carico di Giovanni Zannini, ras di De Luca in terra di lavoro. Due pilastri del sistema di potere dello sceriffo, due carrarmati di quello che abbiamo imparato a definire il partito di De Luca, che va ben oltre il Partito democratico. Immediate ed inevitabili le dichiarazioni dei più autorevoli colonnelli di Schlein in Campania, da Ruotolo a Misiani, volte a ribadire l’assoluta indisponibilità anche solo a ragionare del terzo mandato. Immediata ed inevitabile la replica del governatore che con toni sprezzanti ha ribadito che si ricandiderà a prescindere, con o senza il sostegno del partito. In tale quadro si aprono praterie per il centrodestra, che nella spaccatura tra il governatore e il Pd dovrebbe facilmente recuperare capacità attrattiva nei confronti dei tanti, tantissimi amministratori e riferimenti che sui territori si muovono nell’indistinto, al riparo da qualsiasi vincolo di appartenenza, e che di volta in volta, in vista delle regionali, trovano la collocazione più conveniente. Le elezioni regionali, d’altro canto, si vincono con le liste più che con il candidato apicale, ovvero con la capacità di attrarre amministratori e portatori di voti, di saldare interessi e utilità marginali. Dinanzi alla spaccatura del centrosinistra il centrodestra potrebbe facilmente imporsi come l’opzione più conveniente, a patto e condizione che le forze della coalizione si ritrovino quanto prima attorno ad un candidato apicale sufficientemente forte e riconoscibile. Sullo sfondo, difficile prevedere la capacità di tenuta di De Luca. Il governatore mantiene una grande influenza sui territori, ma è un’influenza che si alimenta del potere che gestisce. Pagherà inevitabilmente un conto molto salato per lo strappo con il Pd, i cui consiglieri regionali, seppur al riparo da taccuini e microfoni, escludono la possibilità di seguire lo sceriffo nel momento in cui dovesse maturare la definitiva rottura con il partito. Le altre forze della coalizione, al netto di Italia Viva, che in Campania è una creatura ad immagine e somiglianza di De Luca e che potrebbe facilmente dissolversi, non potrebbero che seguire lo schema nazionale, fermo restando che per ora non esiste nemmeno una ipotesi per la candidatura apicale. Dunque allo sceriffo resterebbero i tanti, tantissimi riferimenti apolidi, molti dei quali si muovono nella palude centrista, disseminati in tutte le province. Un blocco non da poco, fermo restando che esiste il voto disgiunto, la vera arma segreta su cui De Luca punterà per tentare il colpaccio in solitaria.