La lettera di Arturo Aiello
La riapertura delle Scuole per l’anno 2023-24 merita tutta la nostra attenzione e sollecitudine perché dalla qualità di quella Istituzione dipende la civiltà dell’Occidente e il suo futuro. Bambini, ragazzi, adolescenti e giovani sono convocati dalla Scuola che li strappa al ritmo delle vacanze e li colloca in una scansione del tempo diversa che segna ore, giorni, settimane e mesi in un nuovo ordine che ha come fine la crescita della mente, del cuore, del corpo, delle relazioni, delle concordanze che mettono insieme la mai pacifica contesa delle Scienze della Natura e di quelle dello Spirito. Mi chiedo chi convochi tutto questo movimento di forze e di persone, “a chi” e “da chi” venga affidato il compito di suonare l’inizio della prima ora di questo nuovo anno scolastico. I Dirigenti dipendono dal Provveditorato Agli Studi, i Provveditorati dal Ministro della Pubblica Istruzione e questi dal Governo, il Governo dal Parlamento e Questi dal Popolo
Italiano. Ad ogni seduta di Laurea, all’atto della proclamazione, conclusione ed inizio di tutto questo movimento, il Presidente di commissione si alza in piedi e dice: “Nel nome del Popolo Italiano proclamo Dottore…”. La Costituzione, nelle sue prime battute afferma con solennità che “La Sovranità appartiene al Popolo”, è dunque nel nome del Popolo Italiano che stamattina sono stati svegliati bambini, ragazzi, adolescenti e giovani per il Primo Giorno di Scuola. Sembra un appunto per esperti, ma in realtà è ciò che conferisce solennità al riaprirsi delle Scuole di ogni ordine e grado. Al Popolo sta a cuore l’istruzione e la formazione, l’educazione e la professionalità di coloro che, oggi nell’età evolutiva e domani nell’età adulta, saranno gli uomini e le donne di domani.
A fronte del popolo degli studenti si pone il Corpo Docenti cui pure batte il cuore all’inizio di questo nuovo anno e da cui dipende gran parte del profitto di questo immenso investimento di tempo e di energie. La Scuola è una trama di sguardi su cui passa o incespica il sapere. È dal modo di guardare degli insegnanti che si gioca il rapporto educativo: solo chi si sente guardato con amore accede al sapere e alla consapevolezza di essere al mondo col diritto di esserci. Ciascuno di noi oggi, da adulto, riconosce di aver realizzato qualcosa di buono per sé e per il mondo a partire da uno sguardo che ci ha riconosciuto e ci ha presentati al mondo. “Ciascuno cresce solo se sognato” scriveva Danilo Dolci, io radicalizzo la sua espressione dicendo”Ciascuno viene alla luce solo se guardato”. Stamattina si intrecciano gli sguardi dei docenti e dei dirigenti, degli insegnanti e degli alunni, dei componenti di una classe, dei genitori e dei vigili urbani in un ordito che, se sereno e pronto a scommettere sull’altro, costituisce lo spazio sacro su cui tessere la trama del sapere. Non è uno sguardo a senso unico, non riguarda solo gli adulti nei confronti dei giovani, dei genitori verso i figli, ma il modo di guardare tocca e cambia anche noi grandi implicati, come i piccoli, nell’avventura dei “saperi” e chiamati a ridefinire il nostro essere al mondo.
“Prometeo può essere incatenato e torturato, ma il fuoco acceso dalla sua torcia non può estinguersi. Il fine ideale della scienza sembra essere qualcosa come la competenza, quello delle discipline umanistiche qualcosa come la saggezza”: è il passaggio di una conferenza tenuta a Princeton, negli Stati Uniti, da Ervin Panofsky nel 1940. Era un pensatore ebreo in fuga dalla disumanizzazione delle leggi razziali che vedeva la ricostruzione di una dimensione umana come unico fine cui indirizzare gli studi per evitare la barbarie. Si va a scuola anche per questo, per “liberarci dalla dittatura del presente, dall’illusione di essere i padroni della storia” (T. Montanari), per imparare l’umiltà a lezione dai Grandi. Questo tornare a scuola riguarda il passato e il futuro, interroga l’assurdo della guerra, pone a tema la possibilità di essere ancora uomini non subendo interrogazioni, ma interrogando, domandando a chiunque possa darci ragione del nostro essere qui e ora dentro un fuoco che arde: “Perché la storia non si ferma davvero davanti a un portone/ entra nelle stanze e le brucia/ la storia dà torto o dà ragione, la storia non passa la mano/ la storia siamo noi, siamo noi/ questo piatto di grano” (F. De Gregori). Su questo intrigo di sguardi e di zaini colorati, sull’orizzonte aperto al passato e al futuro, sulla passione per l’uomo e per l’umano, su docenti ed alunni, sul laboratorio-Scuola che riapre i battenti va la mia benedizione di povero vescovo.
+ Arturo Aiello